Lo smartworking che abbiamo scoperto a causa della pandemia, fra potenzialità, opportunità e limiti, cambierà per sempre il modo di vivere il lavoro del futuro? Quali fattori considerare e perché il Covid può aver solo accelerato un trend in atto?
LE ORIGINI DELLO SMARTWORKING
Il concetto di smartworking è stato elaborato per la prima volta negli anni '70 dallo scienziato americano Jack Nilles che ha utilizzato la circonlocuzione "working remotely", per poi passare a "telecommuting". L’idea nasceva dal traffico congestionato di Los Angeles che avrebbe tratto beneficio se molti avessero iniziato a lavorare nelle loro case o in uffici separati da quello centrale. Il primo esperimento pratico avvenne all'interno della University of California nel 1972, quando per 9 mesi un gruppo di ricercatori adattò i concetti di Nilles a una compagnia assicurativa: malgrado le limitazioni del tempo, l’iniziativa fu un successo, ma le resistenze ideologiche alla nuova metodologia furono molto forti e di fatto non ci fu seguito.
In Europa il concetto arrivò di fatto solo nel 2014 con la Flexible Working Regulation nel Regno Unito e la risoluzione del Parlamento Europeo nel 2016. In Italia nel 2017 lo smartworking è diventato una opzione, normata e consentita, sempre basata sull’accordo fra le parti, ma di fatto mai utilizzata. Solo grandi multinazionali o imprese di grandi dimensioni avevano avviato test e iniziato a ripensare gli spazi prevedendo un’adozione sempre maggiore dello smartworking. (il 90% delle grandi aziende in Italia, contro il 37% delle piccole imprese).
In ogni caso prima del 2020 il lavoro agile rappresentava una esigua minoranza: secondo Eurostat nel 2019 i lavoratori impiegati in lavoro agile erano il 5,4%, con una incidenza maggiore delle donne rispetto agli uomini.
Poi è arrivata la pandemia da Covid-19 che ha stravolto le abitudini e obbligato più di 6 milioni di lavoratori a lavorare da casa, secondo l'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. In particolare, è stata la soluzione in periodo di emergenza sanitaria per la Pubblica Amministrazione (94% dei casi), per le grandi aziende (97%) e solo in parte per le piccole imprese (58%).
Oggi l’emergenza sanitaria ha un andamento altalenante, ma molte realtà stanno proseguendo con la scelta dello smartworking. Ma nei prossimi mesi, quando la situazione dovrebbe (sperabilmente) migliorare definitivamente, cosa succederà al lavoro agile? Si tornerà al passato? Oppure il Covid ha solo accelerato un processo in atto, segnando di fatto un punto di non ritorno per il lavoro del futuro?
Alcuni studi stimano che in futuro saranno mediamente 2,7 le giornate settimanali in smartworking. Le opinioni oggi rimangono comunque contrastanti, ma noi di Blimey siamo fermamente convinti che dopo il Covid non si tornerà più indietro.
PERCHE’ E’ IL MOMENTO GIUSTO?
Innanzitutto è evoluta la tecnologia. Presupposto fondamentale è una connessione ultraveloce, oggi sempre più accessibile non solo nelle grandi città, sia su rete fissa sia sui dispositivi mobili. Su questa base, essenziali poi sono i software ormai accessibili a tutti, anche gratuitamente, che ci forniscono tutti gli strumenti per poter lavorare al meglio senza vincoli fisici: facciamo riferimento a programmi quali Teams, Zoom, Webex, etc, che ci consentono di realizzare videocall, presentazioni o partecipare a sessioni formative; oppure a Office 365 che, oltre alla suite Office, con OneDrive ti permette di avere tutti i tuoi documenti sul cloud, accessibili ovunque tu sia.
Ma non solo. Negli ultimi anni è in corso una evoluzione culturale, avviata con i Millenials (nati fra 1981 e 1995), ma spinta con forza dalla Generazione Z (nati fra il 1996 e il 2012), che ha tra i suoi tratti distintivi un nuovo approccio al lavoro, maggiormente focalizzato su qualità e sostenibilità dell’attività lavorativa, una nuova visione che le aziende dovranno assolutamente considerare, dal momento che numericamente, entro cinque anni, saranno un terzo degli occupati in Italia!
Secondo una ricerca di OneDay, che ha coinvolto oltre 2 mila persone, di età compresa fra i 15 e i 35 anni, oltre la metà degli intervistati (60%) si dichiara favorevole al lavoro da remoto. Per i giovani intervistati però significa tutt’altro che il puro e semplice lavoro da casa. Il “remote working” dovrebbe basarsi su flessibilità sia in termini di location fisica, ma soprattutto, per il 70% degli intervistati, in termini di orari e autonomia nella gestione del tempo. Il rapporto con il datore di lavoro dovrebbe essere basato sulla fiducia, con una valutazione incentrata sul raggiungimento degli obiettivi, più che sulle ore lavorate. Le nuove generazioni danno sempre più peso a questi elementi, preferendoli anche ai benefit aziendali tradizionali e che pesano sulle scelte lavorative; già oggi un intervistato su quattro sarebbe disposto a rinunciare a una parte dello stipendio per averne accesso!
Aboliremo quindi il lavoro in ufficio? Probabilmente no, lo smartworking implicherà però sicuramente il ripensamento del concetto di ufficio, valorizzando maggiormente gli spazi per la condivisione e la gestione autonoma del lavoro e diventando un luogo pensato anche per la convivialità e la coltivazione del rapporto umano, fondamentale per la crescita dei giovani professionisti.
PRO E CONTRO DELLO SMARTWORKING OGGI
Ma cosa vuol dire effettivamente fare smartworking oggi? Quali sono i benefici e i limiti? Studi recenti hanno dimostrato che con lo smartworking la produttività aumenta del 15-20%, liberando anche il tempo degli spostamenti per i lavoratori, riducendo emissioni di CO2, traffico nelle ore di punta, abbattendo le spese per trasporto, pranzi di lavoro, oltre che il rischio di incidenti stradali e relativi costi sociali, … Se lo smartworking diventasse un modello duraturo non ci saranno più città piene di giorno e deserte di notte, si svuoteranno molti edifici facendo scendere i costi degli immobili (che saranno dedicati ad attività culturali, sociali e ricreative) e si porterà il lavoro anche in zone periferiche o economicamente depresse. Si favorirà lo sviluppo di un approccio sempre più imprenditoriale: il controllo del capo non riguarderà più i processi produttivi, ma solo i risultati e le imprese avranno l’obiettivo primario di creare un maggiore senso di fiducia e appartenenza.
Ma lo smartworking ha mostrato anche limiti importanti, sia riguardo la sfera individuale, sia a livello collettivo. Chi affronta periodi duraturi di smartworking da solo rischia di isolarsi, soffrire di stress, avere disturbi umorali o impatti sulla qualità del sonno. Per chi è rimasto in famiglia, ha sperimentato probabilmente difficoltà nel condividere sempre gli stessi spazi con partner e figli. Molto spesso le nostre case non sono attrezzate per lavorare da remoto in comodità e in modo efficiente o non offrono adeguate opportunità di svago e distrazione. Una cattiva gestione del lavoro da remoto a livello individuale può avere quindi ripercussioni negative sulla produttività dei dipendenti e, in ultima analisi, sul successo dell’azienda.
Non solo, con la maggior parte dei lavoratori a casa, inevitabilmente soffrirebbero tutti i ristoranti e le attività connesse al mondo del lavoro, con un impatto sull’economia cittadina e su moltissime famiglie che si ritroverebbero senza lavoro.
OPPORTUNITA’ PER IL FUTURO
Blimey ci insegna che nuovi problemi spesso offrono nuove opportunità, che siamo sicuri verranno colte nei prossimi mesi. Vogliamo segnalare qui il caso di Smace (Smart Work in Smart Place), startup ferrarese, lanciata da un gruppo di giovani ragazzi a fine 2020, che offre servizi di workation (work+vacation) ad aziende e lavoratori, al fine di migliorare il benessere delle persone, aumentare la produttività delle aziende e promuovere il territorio (si veda la pagina dedicata su Blimey per ulteriori informazioni).
Smace costituisce il primo esempio di iniziativa imprenditoriale incentrata sullo smartworking, cui ne seguiranno sicuramente altre. Noi di Blimey le monitoreremo e continueremo a segnalare le più interessanti!
Forse il Covid-19 ha accelerato un trend in atto, probabilmente ha segnato un punto di non ritorno nella modalità di vivere il lavoro. Magari la transizione non sarà immediata, ma, per noi di Blimey - siamo sicuri - ci sarà e offrirà opportunità interessanti per aziende e lavoratori!
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Reputo incredibile che nel 2021 le persone non vengano valutate per gli obiettivi raggiunti ma per le ore trascorse in ufficio, con le conseguenze negative che ne derivano. Articolo interessante e puntuale; un grazie all'ideatore ed agli estensori
Tema centrale nelle nostre vite, buon approfondimento, interessanti spunti come sempre.
Grazie ragazzi!